[ RECENSIONE ] Il bambino che disegnava le ombre di Oriana Ramunno | Rizzoli


IL BAMBINO CHE DISEGNAVA LE OMBRE di Oriana Ramunno
384 pagine | €18.00 cartaceo


Quando Hugo Fischer arriva ad Auschwitz è il 23 dicembre del 1943, nevica e il Blocco 10 appare più spettrale del solito. Lui è l'investigatore di punta della Kriminalpolizei e nasconde un segreto che lo rende dipendente dalla morfina. È stato chiamato nel campo per scoprire chi ha assassinato Sigismud Braun, un pediatra che lavorava a stretto contatto con Josef Mengele durante i suoi esperimenti con i gemelli, ma non ha idea di quello che sta per affrontare. A Berlino infatti si sa ben poco di quello che succede nei campi di concentramento e lui non è pronto a fare i conti con gli orrori che vengono perpetrati oltre il filo spinato. Dalla soluzione del caso dipende la sua carriera, forse anche la sua vita, e Fischer si ritroverà a vedersela con militari e medici nazisti, un'umanità crudele e deviata, ma anche con alcuni prigionieri che continuano a resistere. Tra loro c'è Gioele, un bambino ebreo dagli occhi così particolari da avere attirato l'attenzione di Mengele. È stato lui a trovare il cadavere del dottor Braun e a tratteggiare la scena del delitto grazie alle sue sorprendenti abilità nel disegno. Mentre tutto intorno diventa, ogni giorno di più, una discesa finale agli inferi, tra Gioele e Hugo Fischer nascerà una strana amicizia, un affetto insolito in quel luogo dell'orrore, e proprio per questo ancora più prezioso.


Quando Oriana Ramunno mi ha contattata per propormi il suo romanzo mi è bastato leggere le prime righe della presentazione per capire che non avrei potuto dirle di no. Il bambino che disegnava le ombre racchiude due dei miei più grandi punti deboli letterari a cui difficilmente riesco a resistere. Ci troviamo tra le mani, infatti, un thriller storico ambientato nell' anus mundi, espressione inequivocabile coniata nel 1942 da Heinz Thilo, medico delle SS, per descrivere in poche parole l'inferno in terra creato dal regime nazista che risponde al nome del campo di sterminio di Auschwitz.

Si sedette davanti a lui a gambe incrociate, si leccò le labbra e poggiò sulle ginocchia
il blocco da disegno [...] e a dispetto delle mani che non smettevano di tremare si mise a disegnare. 
Non poteva esistere un disegno più bello di quello di Herr Doktor Braun morto.

Parlare di questo romanzo come un thriller sarebbe davvero sbrigativo. Sì, ritroviamo la parte tipica del genere in questione trattata dalla Ramunno in modo preciso e intrigante, dando qualcosa al lettore e togliendolo subito dopo fino a creare molteplici possibilità e altrettante illusioni che troveranno la loro soluzione solo nelle ultimissime pagine. Eppure, qui dentro c'è molto di più. Leggere questo romanzo è uno schiaffo improvviso che non riesci ad evitare, un pugno sferrato alla bocca dello stomaco capace di lasciarti senza fiato. Ci troviamo dinanzi alla realtà spietata del campo senza preamboli.

Dovremmo essere preparati, certo. In fondo, sono immagini, suoni e rumori che non possono esserci sconosciuti, eppure si resta basiti dinanzi a determinate scene così vivide, quasi tangibili, che la nostra immaginazione non può evitare. Si sente il freddo pungente e il gelo che scende fino alle ossa. Si percepisce il silenzio e la rassegnazione. Si accompagna come silenziosi testimoni ogni umiliazione subita dai prigionieri, il suono delle risate sadiche delle SS, le lacrime di disperazione oramai prosciugate insieme alla paura per un destino scritto che non può essere cambiato. Merito della scrittura autentica e genuina della Ramunno capace di spingere il lettore al centro esatto dell'inferno, ma anche del suo protagonista che permette un approccio insolito, diverso, forse più spontaneo e glaciale. Quello di un tedesco. Hugo Fisher - criminologo di punta della polizia berlinese - viene inviato in Polonia per risolvere un caso delicato che potrebbe sollevare o affossare la sua carriera per sempre, ma quello che trova davanti ai suoi occhi è una verità incomprensibile, atroce, disumana. È merito anche di quel bambino italiano così caro a Joseph Mengele, l'angelo della morte. Gioele è speciale in quel suo modo tutto particolare di catturare anche le cose più inafferrabili e imprigionarle in un foglio di carta. Hugo Fisher se ne accorge al primo incontro e, proprio da quel momento, non sarà più l'uomo cieco che ha varcato il cancello di Auschwitz.

Voleva dimenticare tutto e svegliarsi al mattino con la stessa sensazione che lasciava
un brutto incubo, quando ti accorgevi che non era reale.

Il bambino che disegnava le ombre è un romanzo destabilizzante. Sfruttando in modo intelligente e per nulla scontato una trama investigata intricata e ricca di dettagli, la Ramunno affronta domande capaci di scavare più in profondità di quello che si potrebbe pensare a primo impatto. Sono le emozioni a prendere il sopravvento. Quelle che fanno male e per questo capaci di smuovere qualcosa di importante. Sono scelte umane che inorridiscono e fanno impallidire. Credo che sia proprio questo a fare la differenza. Non soltanto un thriller storico valido e ben strutturato con un ritmo progressivo e uno stile linguistico coerente e lineare, ma una storia potente e straziante in grado di lasciare senza fiato e con il cuore pesante portando con sè quel vento di speranza in un'umanità che - in quegli attimi di vuoto e disperazione - sembrava perduta per sempre.

Oriana Ramunno riesce in queste pagine a tirare fuori un'umanità che non mi aspettavo di trovare, non in quel luogo. Accanto alla brutalità di una violenza inaudita priva di morale, coscienza e compassione troviamo, infatti, la parte bella dell'uomo. Quella che sa aprire gli occhi, ricredersi, cambiare. Fare la cosa giusta anche a costo della sua stessa vita. Sì, si può parlare della Shoah nei modi più diversi, anche in un thriller. Non lo credevo possibile, mi sbagliavo.

Ringrazio la scrittrice per la copia cartacea del romanzo

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