[ RECENSIONE ] Volevamo andare lontano di Daniel Speck | Sperling

 

VOLEVAMO ANDARE LONTANO di Daniel Speck
543 pagine | 19.90€ cartaceo

Milano, 2014. Julia, giovane e brillante stilista tedesca, sta per affrontare la sfilata che potrebbe finalmente coronare i suoi sogni. Ma, proprio mentre guarda al futuro, il passato torna a cercarla nei panni di uno sconosciuto che sostiene di essere suo nonno. Dice di essere il padre di quel padre che lei ha sempre creduto morto, e le mostra la foto di una ragazza che potrebbe essere Julia stessa, tanto le somiglia, se solo quel ritratto non fosse stato scattato sessant'anni prima. Milano, 1954. Vincent, promettente ingegnere tedesco, arriva da Monaco con il compito di testare una piccola automobile italiana che potrebbe risollevare le sorti della BMW. È così che conosce Giulietta, incaricata di fargli da interprete, e se ne innamora. Lei è una ragazza piena di vita e di sogni - ama disegnare e cucire vestiti - ma è frenata dalla sua famiglia, emigrata dalla Sicilia, e da una promessa che già la lega a un altro uomo. Si ritroverà a scegliere tra amore e dovere, libertà e tradizione, e quella scelta segnerà il destino di tutte le generazioni a venire, fino a Julia. Proprio a lei, oggi, viene chiesto da quel perfetto estraneo di ricucire uno strappo doloroso, di ricomporre una famiglia che non ha mai conosciuto.


Da qualche settimana sapevo che non avrei potuto rimandare oltre. D'altronde, i segnali erano abbastanza chiari: dovevo leggere
Volevamo andare lontano di Daniel Speck. Non è stata una scelta esclusivamente mia, ma condivisa. Non ve lo nascondo, rimandavo la lettura di questo romanzo da così tanto tempo esclusivamente per la paura di non riuscire a provare legami, sensazioni o emozioni vista la storia e le implicazioni raccontate che con me - nel bene e nel male - non avevano proprio nulla a che fare. Mi sono sbagliata (di nuovo)? Assolutamente sì!

Non sono un'amante delle storie familiari, eppure questa volta ho trovato una scrittura audace e - allo stesso tempo - remissiva che mi ha fatto apprezzare con gusto ogni suo personaggio, permettendo la giusta dose di immedesimazione senza lasciare indietro quell'empatia che - per quanto mi riguarda - è elemento quasi imprescindibile di una bella, potente lettura. La storia della famiglia Marconi parte da lontano, eppure la conosciamo attraverso gli occhi di una giovane donna di oggi, Julia.

In realtà nasciamo spezzati e passiamo il resto della vita a cercare di mettere insieme i pezzi.

Una ragazza tedesca privata delle sue origini con il grande sogno di sfondare nel mondo della moda, ma nei suoi termini e alle sue condizioni. E c'è vicina, molto vicina, fino a quando un uomo anziano le si accosta in una sera professionalmente perfetta chiamandola per nome ed iniziando - senza alcun invito da parte sua - a raccontare una storia che non conosce e a mostrarle una foto in bianco nero di una ragazza sorridente e spensierata nella Milano degli anni cinquanta. Le assomiglia così tanto, sembrano due gocce d'acqua. Ma è impossibile. No, non può essere. Certamente c'è un errore. Quell'uomo non è il padre di un padre che non c'è mai stato, che lei mai ha conosciuto. 
E proprio da quella sorprendente serata milanese si apre un lungo racconto in grado di coprire cinquant'anni di una storia familiare che si costruisce sul percorso accidentato di una strada lastricata di bugie e mezze verità, di progresso ed immigrazione, di sconfitte e rivincite, di desiderio di emergere e paura di perdersi.

Sono quasi 540 pagine di vita che scorrono sotto i nostri occhi senza difficoltà: qualche pezzo appartiene anche al nostro passato, altri (forse) riusciamo a scorgerli nel nostro presente. E fa pensare, tanto. Non c'è solo una storia d'amore travagliata, il dolore incessante di una perdita senza ragione, la ferita di un abbandono che ancora fa male. Ho ritrovato in queste pagine qualcosa che va oltre il nostro eventuale vissuto e che permette ad ognuno di noi di lasciare un pezzo di cuore tra righe che sanno bruciare e scivolare via con la medesima intensità.

Quello che rimane è il dolore che nessuno più ci potrà togliere. 
Quello che rimane è tutto quello che non è stato detto. 
Quello che rimane è una ferita aperta.

Sapete, quando mi trovo davanti un romanzo di narrativa contemporanea come è questo di Speck quello che cerco è lo smuoversi di qualcosa. Che sia una parola o una sensazione, un pensiero o una piccola riflessione, che sia un battito accelerato o solo un profondo respiro, non importa. Quel qualcosa si è mosso e si è sentito. Non avendo provato la sofferenza di un abbandono o le conseguenze di dover lasciare la propria casa per un futuro migliore, ho pensato al nostro presente e a quanto non sia poi così diverso da quel passato che molti uomini, donne e bambini hanno provato sulla loro pelle. Il trovarsi in una terra straniera - la Germania nel caso della famiglia Marconi - e sentirsi ospiti indesiderati, essere sempre tenuti d'occhio e i primi ad essere sospettati se qualcosa di strano dovesse mai accadere. Essere diversi ed essere considerati gli ultimi. Daniel Speck sa descrivere quella frustrazione profonda e silenziosa con meravigliosa delicatezza, riuscendo a farci provare quelle emozioni come fossero appartenute ad ognuno di noi, come ad essere lì accanto a Vincenzo o Giovanni, accanto a Giulietta.

In conclusione, non posso che consigliarvi questa lettura. Volevamo andare lontano è quella storia che inizi con quel pizzico di curiosità anche abbastanza normale per poi scoprire che era proprio quel romanzo di cui avevi bisogno. È esattamente quel libro che regaleresti ad un amico a Natale o che ti trovi a consigliare a chiunque una volta voltata l'ultima pagina. Ecco, lo hanno fatto con me (anche in modi particolarmente insistenti) ed io arrivo oggi a farlo con voi. Leggetelo!

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