[ RECENSIONE ] I testamenti di Margaret Atwood

I TESTAMENTI di Margaret Atwood
502 pagine | €18.00 cartaceo
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« Il nostro tempo insieme sta per cominciare, mio lettore. Può darsi che vedrai queste pagine come un fragile scrigno da aprire con la massima cura. Può darsi che le strapperai o le brucerai: con le parole accade spesso ». Hai fra le mani un'arma pericolosa, caricata con i segreti di tre donne di Gilead. Stanno rischiando la vita per te. Per tutti noi. Prima di entrare nel loro mondo, forse vorrai armarti anche di questi pensieri: « La conoscenza è potere ». « La Storia non si ripete, ma fa rima con sé stessa».
Posso dire di aver tampinato - passatemi l'azzardo di un termine abbastanza forte, ma che sa rendere l'idea delle mie inverosimili aspettative - I Testamenti di Margaret Atwood dal momento stesso dell'annuncio della sua uscita. Voci su voci si erano rincorse attorno ad un probabile seguito de Il racconto dell'ancella insieme a tutte quelle fake news che seguono un romanzo così amato e tremendamente attuale. La gioia, quindi, di poter ritrovare quelle sensazioni che mi avevano spinto tra le braccia di Gilead (nel senso meno letterale possibile, potendo scegliere!) era pressochè indescrivibile. 

È stato, quindi, all'altezza del suo precedente? 
No, ma non per suo diretto demerito. Diciamo che essere all'altezza de Il racconto dell'ancella (scritto più di trenta anni fa e talmente attuale da fare quasi paura) anche per il talento e la leggiadria narrativa della Atwood era sfida troppo ardua da superare. Molti sono gli spunti interessanti e positivi che la Atwood raccoglie e rinnova in questo secondo romanzi insieme ad altri  che, a mio personalissimo parere, lasciano ben poco di effettivamente tangibile al suo lettore.


 I Testamenti non sono altro che il lascito ereditario di tre donne di Gilead profondamente diverse per età, maturità ed esperienza e legate da un destino capace di giocare le sue mosse in un precario equilibrio tra vita e morte, tra condanna e redenzione.  A testimoniare il declino di un regime oramai consumato da quella stessa fragile contraddizione puramente maschilista che l'aveva reso possibile in origine sono una Zia che ben conosciamo, una ragazzina di nome Agnes nata all'ombra dell'opprimente teocrazia e una giovane ribelle di nome Daisy cresciuta in un mondo che oseremo definire apparentemente normale. È la parte affrontata da una delle Zie fondatrici di Gilead quella che ho preferito. Non solo perchè ritroviamo un personaggio già cruciale nel primo romanzo (e non particolarmente amato), ma soprattutto perchè quella donna severa e arcigna, priva di scrupoli e spinta da un'insensibilità quasi feroce ci viene presentata sotto una luce profondamente diversa che non può che spingerci a rivalutare la nostra idea. Grazie a lei, infatti, torniamo agli albori di Gilead.

Lì dove i primi passi sono stati mossi da uomini umanamente corrotti e resi giusti da un integralismo religioso senza precedenti. Uomini che erano padri o mariti. Uomini che sono stati figli di donne e che quelle stesse hanno condotto verso uno status di sostanziale schiavitù, private dei diritti più naturali e costrette a subire un martirio senza alcuna valida giustificazione. Grazie a lei scopriamo il ruolo delle Zie. E lo scopriamo partendo dalla sua storia e percorrendo, passo dopo passo, una presa di coscienza forte e dolorosa che la condurrà verso un cammino che non presenta alcuna via di fuga. 
Quello che viene affrontato ne I Testamenti è un dolore diverso (in parte conosciuto) che non ci coglie impreparati, ma che lascia dietro di sè una scia ancor più preoccupante. Perchè anche solo pensare che quanto affrontato dalla Atwood possa realizzarsi in un non precisato futuro è destabilizzante. Scene che si sono già compiute in quella pagina più buia della storia moderna, altre che potrebbero trovare facile appagamento in un clima di odio, di intolleranza e di profonda insofferenza verso il prossimo che respiriamo indifferenti ogni giorno.

È un dolore reso normale dai racconti delle due giovani donne, in particolare Agnes.
Una giovane mente soggiogata da un regime profondamente anacronistico e malato che impone il silenzio sopra ogni libertà, adottando metodi medievale di coercizione e sostenendo dogmi autoritari che nulla hanno a che fare con la religione che dovrebbe essere suo incontrovertibile fondamento. Racconti che mancano di incisività e potenza a cui la Atwood ci ha sempre abituati e che non riesco a lasciare quel segno distintivo che mi sarei aspettata di ritrovare. Rimangono lì, in quel limbo narrativo del detto/non detto reso quasi impercettibile a fine lettura. 

Questa mancanza viene parzialmente superata grazie ad uno stile unico nel suo genere con cui la Atwood torna a deliziare il suo lettore, accogliendolo in un abbraccio forte e deciso di cui avevamo proprio bisogno. Alcuni hanno parlato de I Testamenti come una pura e semplice scelta di markentig considerato l'enorme successo della serie televisiva. Altri hanno reputato questo romanzo non necessario ed essenzialmente fine a se stesso. Ebbene, io non sono d'accordo. Avevamo bisogno di una chiusura dopo l'epilogo decisamente incerto del precedente romanzo, così come molte domande meritavano di avere risposta e di non trovarla solo in uno schermo, ma tangibile sotto i nostri occhi. Questo per me è stato leggere I Testamenti di Margaret Atwood. Una ricerca di attenzioni, un desiderio di conoscenza, una voglia di comprendere come si possa credere di migliorare un mondo imperfetto e distruggerlo, pezzo dopo pezzo.

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