[ RECENSIONE ] Se solo il mio cuore fosse pietra di Titti Marrone

SE SOLO IL MIO CUORE FOSSE PIETRA di Titti Marrone
240 pagine | €17.50 cartaceo
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Nel 1945 la grande villa di campagna di sir Benjamin Drage diventa una residenza per i piccoli reduci dai campi di sterminio, venticinque bambini tra i quattro e i quindici anni accolti e accuditi grazie all'iniziativa e alla determinazione di Anna Freud, figlia del grande Sigmund, e di Alice Goldberger, sua collaboratrice. Ciascun bambino ha una storia diversa, terribile e speciale, ciascuno viene da un proprio personale inferno. Alice e la sua équipe lottano per restituire loro un'infanzia, dando vita per oltre un decennio a un centro dove le più recenti acquisizioni della psicologia infantile, della pedagogia e dell'arte vengono messe al servizio delle necessità dei bambini provenienti da lager, orfanotrofi e conventi o dai nascondigli dove i genitori li hanno lasciati durante la guerra, nell'estremo tentativo di salvar loro la vita.


Se solo il mio cuore fosse pietra - citazione da La strada di Cormac McCarthy - è anche il pensiero ricomparso più volte durante la lettura, quasi a voler schermare il dolore che si forma ed esce fuori da queste pagine attraverso la genuinità, la purezza, la totale mancanza di filtri dei 25 bambini di Lingfield di cui Titti Marrone vuole raccontare storia, passato, traumi e speranze.  Ma cosa è accaduto dopo la liberazione di Auschwitz e la fine della seconda guerra mondiale? Quale futuro per i bambini sopravvissuti alle camere a gas e agli abominevoli esperimenti di Mengele? 

Soli, denutriti, privati della loro stessa innocenza, malati nel corpo e nello spirito, sono questi i bambini che saranno ospitati e accuditi a Lingfield grazie alle premure di Alice Goldberger - allieva della dottoressa Anna Freud - e alla generosità di un privato benefattore, Sir Benjamin Drage. Ma non sarà facile. Quei bambini rispondono a istinti difficili da prevedere, alcuni presentano un proprio codice segreto quasi impossibile da decifrare, altri ancora si trincerano dietro un inossidabile silenzio. Poi, ci sono bambini spezzati che troppo hanno visto e ben poco amore hanno conosciuto nella loro breve vita. Alcuni sopravvissuti ai lager nazisti come Terezin e Auschwitz, altri, invece, abbandonati ad estranei con la sola speranza - spesso cieca - di salvare in questo modo la loro vita. Partendo dalle testimonianze di Andra e Tatiana Bucci - le uniche destinate ad un vero e proprio lieto fine - inizieremo a comprendere il suono del dolore e della paura, l'istinto di sopravvivenza, l'inquietudine, la diffidenza verso quel mondo adulto colpevole di averli traditi nel modo peggiore che si possa immaginare. E ogni bambino è una realtà a sè. Non esiste una esperienza uguale ad un'altra e così cambiano le reazioni di fronte a piccoli cenni di affetto o a rumori troppo simili a quelli uditi notte e giorno nel kinderblock. Il latrato di un cane in lontananza, ad esempio, o il calpestare preciso e ritmico degli stivali, il suono freddo e perentorio della lingua tedesca.

A volte  vorrei avere il cuore di pietra
per non essere sopraffatta dal loro dolore.

Titti Marrone scava nella storia ripercorrendo memorie e testimonianze dirette, sfogliando archivi e dati lontani, rincorrendo vecchie tracce e riscoprendo nuovi dettagli di una verità, forse, poco conosciuta, ma che merita di essere ricordata. Ricordato il valore di chi ha dato la propria vita per questi bambini, dedicandosi a loro completamente senza lasciare nulla di intentato, niente indietro, prendendosene cura come fossero figli propri. Viene insegnata loro la fiducia e l'aiuto reciproco, viene rivelato o fatto conoscere di nuovo l'essenza stessa dell'amore incondizionato di una madre, viene consegnato nelle loro mani la possibilità di una seconda vita. E proprio attraverso una penna delicata ma decisa arriviamo a conoscere il dopo Lingfield, passando attraverso racconti che stringono il cuore, che sanno fare male, che bloccano il respiro tanto è il dolore testimoniato e provato sulla propria pelle da creature così innocenti, pure, inermi.

Lei sapeva bene che rammentare è come rammendare, cucire gli stappi, inclusi quelli interiori.
Ripararli sapendo che i segni sarebbero restati comunque indelebili e visibili.
Ed era facile immaginare che sarebbe stato devastante. 

Come quello delle sorelle Bucci, sopravvissute ad Auschwitz, ora testimoni preziose dell'Olocausto per le nuove generazioni e non solo. Ma anche di Sergio De Simone. Una figura silenziosa che spunta tra le pagine di questo romanzo quasi in punta di piedi, ma è presente in ogni angolo e la sua presenza è il rumore di un'assenza che non ha alcuna giustificazione. Ho conosciuto la sua storia un po' per caso qualche anno fa e sono rimasta come di pietra davanti a quelle parole, il modo in cui è stato condotto alla morte è puerile, subdolo, meschino. Il suo ricordo è  in memoria di tutti quei bambini che non hanno mai fatto ritorno e a quelle piccole creature a cui una speranza non è mai stata concessa.

E la domanda, di fondo, rimane: erano solamente bambini, che colpa potevano avere?

Ringrazio la casa editrice per la copia cartacea del romanzo. 

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