[ RECENSIONE ] Carrie di Stephen King

CARRIE di Stephen King
224 pagine | 13.00€ cartaceo

Carrie è un'adolescente presa di mira dai compagni, ma ha un dono: può muovere gli oggetti con il potere della mente. Le porte si chiudono, le candele si spengono. Un potere che è anche una condanna. E quando, inaspettato, arriva un atto di gentilezza da una delle sue compagne di classe, un'occasione di normalità in una vita molto diversa da quella dei suoi coetanei, Carrie spera finalmente in un cambiamento. Ma ecco che il sogno si trasforma in un incubo, quello che sembrava un dono diventa un'arma di sangue e distruzione che nessuno potrà mai dimenticare.


Era il 1974 negli Stati Uniti (tre anni più tardi in Italia) quando il primo libro di Stephen King fece il suo ingresso nelle librerie. Un romanzo nato come un racconto che lo scrittore non aveva la minima intenzione di pubblicare. E se non fosse per Tabitha (santa donna) forse ci saremmo persi qualcosa di potente e difficilmente paragonabile con qualsiasi altro esordio letterario degno di questo nome. In quegli anni, Carrie è stato uno dei libri più censurati nelle scuole statunitensi, eppure sa racchiudere messaggi così attuali e tangibili da poter essere scritto anche ai giorni nostri.

Ma il dispiacere è il pronto soccorso delle emozioni umane.

Carrie è un punto di partenza molto netto in quella che sarà una delle carriere letterarie più prolifiche della
letteratura moderna. In questo romanzo, King mette subito in chiaro quali saranno i capisaldi e i punti di forza che troveremo - con maggiore o minore intensità - in ogni sua opera successiva. Il risvolto paranormale della storia che cura con la dovuta attenzione, come se fosse naturale, senza mai risultare pesante o eccessivo. Il male profondo ed incontrovertibile che risiede in ognuno di noi, che culliamo come parte imprescindibile della nostra esistenza, che tentiamo di soffocare senza mai riuscirci davvero. Una ferita che non si rimargina legata a doppio filo ad un trauma intimo capace di spezzare anche l'uomo più forte ed incorruttibile. La follia religiosa che non conosce vergogna, qui rappresentata nel modo migliore da Margaret White. Una donna disturbata, mentalmente instabile che non è stata mai fermata da chi avrebbe potuto, lasciandola libera di crescere Carrie nella più cieca ossessione e nella paura più incontrollabile. Per me è lei il vero male della storia.

Mi capita spesso di familiarizzare con il cattivo della situazione e - non voglio negarlo - questo strano senso di empatia fa parte proprio della bellezza del libro che sto leggendo. Come con Carrie, ad esempio. Mi sono chiesta più volte cosa avrei fatto al suo posto. Dopo una vita costellata di soprusi e violenze psicologiche, di pugnalate silenziose e scherzi crudeli, come mi sarei comportata avendo quei poteri tra le mani? Sarei sicuramente esplosa in qualcosa di non poi così lontano dalla sua terribile, letale realtà.

Quasi nessuno scopre mai che le sue azioni feriscono davvero gli altri.
La gente non migliora, diventa solo più furba.

Figlia di un bigottismo religioso spietato e senza ragione di una madre che non l'ha mai apprezzata, amata, voluta. Una madre che non ha mai nascosto la sua repulsione verso quella figlia così diversa, scaturita da quel peccato ignobile che nella sua mente deviata doveva essere ripagato, prima o poi. Il destino di Carrie era segnato fin dall'inizio eppure nessuno ha mosso un dito. Il suo disagio era vivo sotto gli occhi di tutti, vittima scelta di quel bullismo privo di compassione capace di lasciare segni invisibili e profondi che lacerano l'anima di molti giovani anche oggi. Ferite che difficilmente potranno essere risanate. È un'analisi sociale che viene affrontata da diversi punti di vista (Carrie, Margaret White, i testimoni) che si arricchisce anche di elementi esterni alla vicenda principale.

King, infatti, attraverso relazioni mediche e referti psicologici, piuttosto che stralci di interrogatori e libri-verità dei sopravvissuti sa creare una crescita costante di suspance e famelico interesse che esplode - in modo quanto mai letterale - proprio nel suo epilogo. Un cambio di registro che non perde mai coerenza e sa mutare il suo approccio con sorprendente naturalezza. 

In conclusione, credo che Carrie possa rappresentare un ottimo inizio per approcciarsi allo stile di Stephen King. Scrittura che - anche con i suoi inevitabili alti e bassi - rimane invidiabile e difficilmente replicabile, anche dopo anni di onorato servizio. Alla fine molti ci hanno provato, altri sono stati anche accostati per genere, ma non c'è storia, ragazzi.  E questo esordio ne è una lampante conferma!

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